Troppo spesso la personalità dissociativa viene scambiata (anche da noi terapeuti) per un disturbo borderline, isterico/istrionici o per un disturbo psicotico; purtroppo, viene anche spesso erroneamente diagnosticata come disturbo di panico. Il passo in effetti in alcuni casi può essere assai breve. Talmente breve che persino diversi sistemi diagnostici non sono concordi sulla classificazione e sulla diagnosi del disturbo.
Personalmente ritengo questo distubo essere assai frequente, e davvero facilmente scambiabile per altri disagi, che purtuttavia hanno origine (e patogenesi) completamente diversa.
Le personalità “dissociative” portano al loro interno frammenti del Sé caratterizzati da intensa angoscia, che potremmo forse più convenientemente descrivere come “terrore”. Tale disagio è legato a eventi traumatici (o di trascuratezza) che nella maggior parte dei casi si sono ripetuti nel tempo durante l'età infantile e scolare e che rimangono in una sorta di vuoto amnestico. Il paziente, insomma, ne ricorda poco o nulla.
Succesivamente, durante la vita adulta del paziente, può accadere che eventi anche banali della vita quotidiana lo riportino in qualche modo all'evento traumatico passato. E' allora che il paziente, inconsciamente, prova a “dissociarsene”, attivando una sorta di auto-anestesia. Per molti autori si tratta di una vera e propria auto-ipnosi che il paziente ha imparato a mettere in atto da tempo immemore per allontanarsi dal contenuto emotivamente drammatico e intollerabile del trauma.
Durante questo meccanismo di difesa si verificano i sintomi (peraltro comunissimi) di derealizzazione (sensazione di non essere veramente lì, di essere in un sogno, di aver perso il contatto con la realtà circostante, di vuoto e assenza delle persone intorno) e di depersonalizzazione (spiacevole sensazione di essere staccati dal proprio corpo, di osservarsi dall’esterno, di non sentirsi più... sensazione peraltro accompagnata da smarrimento, angoscia, talora vero e proprio terrore). In molti casi compaiono sintomi somatici dolorosi o anestesie che sono in qualche modo correlate ad eventi traumatici subiti.
Caratteristico di questi pazienti è il ricordarsi poco o nulla della propria infanzia e del proprio periodo scolare. Questo “buco nella memoria”, di cui molto spesso si lamentano, è l’esito di un'amnesia cosiddetta dissociativa: durante il trauma l’ippocampo diviene incapace di registrare la memoria fattuale degli eventi, essendosene cognitivamente dissociato, mentre gli effetti di questi restano sedimentati a livello corporeo profondo, tissutale, fisico, nella cosiddetta memoria intrinseca. In altri termini il paziente dissociato non è in grado di ricordare narrativamente gli eventi (e quindi non è in grado di raccontarli), ma è in grado, suo malgrado, di sentirne l'angoscia, il terrore che aveva vissuto, senza peraltro essere in grado di attribuirgli una causa razionale. Vengono a formarsi e a vivificarsi, all'interno di questa psicologia, figure interne di "vittime", "persecutori", "salvatori" e "by-standers" (testimoni passivi, che non hanno potuto, saputo o voluto svolgere un ruolo protettivo durante il trauma).
Nei casi più gravi, i fenomeni dissociativi sono talmente intensi che il paziente appare incapace di vivere una vita normale, invischiato in una sorta di terebrante tempesta emotiva che non sa gestire. Possono verificarsi episodi che vengono erroneamente scambiati per psicotici, dove il paziente perde il controllo sul proprio pensiero e sul proprio agire, sentendosi sovrastato. Assume improvvisamente comportamenti "strani", talvolta aggressivi, caratterizzati da scoppi d'ira e volgarità (erroneamente scambiati per eventi distruttivi del disturbo borderline di personalità) che destano stupore negli altri, i quali possono giungere a pensare, a volte con una punta di sarcasmo difensivo, che la persona sia "indemoniata" o che sia impazzita, tanto il suo pensare e agire si discostano da come è sempre stata conosciuta.
Sarebbe questa l'origine del cosiddetto disturbo da personalità multiple, di cui (per fortuna molto raramente) si sente parlare in alcuni notiziari relativamente ad episodi di cronaca nera. Ritengo tuttavia doveroso precisare che non tutti gli autori sono concordi nell'affermare la legittima esistenza di tale disturbo: taluni tendono anzi ad attribuire gli eventi più drammatici ad altre eziologie. Aggiungo inoltre, che la stragrande maggioranza di persone con disturbo da personalità multipla non è affatto pericolosa.
Sorge la domanda su come si possa trattare un disturbo così invalidante per il paziente. Diversi approcci terapeutici sono stati e sono correntemente utilizzati, inclusa la farmacoterapia (talvolta impiegata impropriamente, soprattutto quando la diagnosi non è correttamente definita), l'ipnosi e l'EMDR (tecnica terapeutica che si è rivelata molto efficace in molti trattamenti post traumatici).
Personalmente prediligo una terapia focalizzata sul contatto con il paziente, secondo le linee dettate dall'Analisi Transazionale Integrativa di R.G. Erskine. L'indagine delicata del vissuto, la sintonizzazione affettiva e il coinvolgimento del terapeuta permettono gradualmente al paziente, secondo i tempi per lei/lui tollerabili, di sentirsi finalmente in un ambiente protetto. Partendo da una iniziale stabilizzazione dei vissuti ottenuta grazie alla consapevolezza della storia e degli stati dell'io attivati, si tende ad ottenere un iniziale controllo sociale dei sintomi: il paziente, in pratica, ricomomincia a saper stare in società e a porsi in relazione in modo costruttivo e senza fughe. Sa in pratica controllare i propri sintomi quando sta con gli altri, sebbene questi possano ancora causargli notevole disagio interiore.
In una seconda fase, più avanzata, si mira a a elaborare, integrare e riorganizzare le esperienze emotivamente significative, i vissuti angosciosi e terrorizzanti e le proprie convinzioni profonde riguardo a sè stessi, gli altri e la vita in generale.
Il contatto sintonizzato facilita la soddisfazione di quei bisogni che erano rimasti sospesi e l'integrazione della parti dissociate della personalità. Grazie a questo elaborato percorso si aiuta la persona a "rinunciare a dissociarsi", ma anzi a vivere il proprio presente con spontaneità, autonomia e consapevolezza, che rendono ogni esperienza vivibile e ricca di significati e di soddisfazione.